giovedì 17 dicembre 2009

La Cina e l'Africa: banco di prova per un mondo multipolare


Il 27 marzo del 2009 il Sudafrica decise di negare il visto d'ingresso al Dalai Lama, chiamato a partecipare ad una conferenza che vedeva riuniti i premi Nobel per la pace. Una notizia che fece seguito alle pressioni esercitate dal governo cinese e che attirò forti critiche su quello sudafricano. E' stato questo uno dei segnali, forse il più eclatante, della crescente influenza politica della Cina nel continente africano. Una influenza frutto della forte penetrazione economica iniziata all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Tanto che ormai sono più di ottocento le aziende cinesi presenti in ventotto paesi africani.

Per la Cina comunista l’Africa è ormai una vera e propria priorità strategica sullo scenario internazionale come evidenzia il recente saggio "L'Africa cinese" di Stefano Gardelli (Università Bocconi Editore, 2009).

Le linee d'azione di Pechino sono quelle del reperimento di materie prime (petrolio in primis), di beni primari come i cereali e dell'accesso a nuovi mercati visti come potenzialmente molto interessanti per la propria economia in continua espansione. Necessità classificate ormai nel campo della sicurezza nazionale e che costringono – e costringeranno sempre più - il gigante asiatico ad intervenire in aree del continente.

La sua forza nella politica di aiuti economici e degli investimenti, se confrontata a quella dell’Occidente, risiede, secondo l’autore, nei principi della "non interferenza negli affari interni", del "mutuo rispetto" e del "mutuo beneficio" (win-win cooperation). La continua sottolineatura dell'inviolabilità della sovranità nazionale è infatti un messaggio ben accetto da governi africani, spesso isolati dalla comunità internazionale, e che vedono, invece, nelle condizioni poste dai Paesi occidentali e da istituzioni come il Fondo monetario e la Banca mondiale una forma di neocolonialismo. Il messaggio forte proveniente da Pechino è quello della solidarietà tra paesi in passato vittime del colonialismo e di un rapporto alla pari.

I numeri degli aiuti sono impressionanti: nell’ambito del Forum per la Cooperazione Africa Cina (FOCAC) – l’organismo diplomatico creato nel 2000 da Pechino e riunitosi fino ad oggi tre volte - il paese asiatico ha concesso una linea di credito e prestiti per un valore di 5 miliari di dollari e ha promesso di accrescere il commercio bilaterale con l'Africa fino ad una cifra superiore ai 100 miliari di dollari entro il 2010. Inoltre la politica di Pechino si manifesta nella cancellazione del debito dei paesi africani più poveri, nella concessione di prestiti a tasso zero e nell'innalzamento delle merci esportabili in Cina senza tariffa doganale. Ormai la Exim Bank – una banca di stato cinese – è diventata la più grande fornitrice di prestiti e finanziamenti all’Africa superando la Banca Mondiale.

La logica dei prestiti, tutta politica e alla quale sottostanno anche le imprese private cinesi, è legata a settori legati all’industria estrattiva e alle annesse infrastrutture che più rispondono agli interessi di Pechino. Ma la politica degli aiuti e degli investimenti porta alla Cina un risultato politico di indubbio valore come il sostegno dei Paesi Africani in materie come il rispetto dei diritti umani, la questione tibetana e il riconoscimento di Taiwan, e l’appoggio alla formazione di un quadro multipolare di relazioni internazionali.

Ma, nello stesso tempo, come sottolinea Gardelli, Pechino è costretta a difendere e sostenere governi instabili o condannati dalla comunità internazionale come quello sudanese o dello Zimbabwe, oppure a far pesare la sua forza nelle vicende politiche interne a dispetto dell’enunciato rispetto della sovranità nazionale. Aspetti, quest’ultimi, con i quali la Cina dovrà fare sempre più i conti. Certo è che l’Africa è il terreno sul quale si giocherà la capacità cinese di proiezione globale.


d.

giovedì 12 novembre 2009

Religione come saggezza


“Mutare l'Eden nel Liceo. La scienza dev'essere un cordiale. Godere, che triste scopo, e che meschina ambizione! Il bruto gode. Pensare, ecco il vero trionfo dell'anima. Porgere il pensiero alla sete degli uomini, dare a tutti loro come elisir la nozione di Dio, affratellare in essi la coscienza e la scienza, renderli giusti mediante questo misterioso confronto, questa è la funzione della vera filosofia. La morale è una fioritura di verità. Contemplare conduce a agire. L'assoluto deve essere pratico. Bisogna che l'ideale sia respirabile, potabile e mangiabile dallo spirito umano. L'ideale ha il diritto di dire: Prendete, questa è la mia carne, questo è il mio sangue. La saggezza è comunione sacra. Solo a questa condizione cessa di essere sterile amore della scienza e diventa il mezzo unico e sovrano dell'adunata umana, e da filosofia viene promossa religione” […]
“Contemplare significa lavorare; pensare significa agire. Le braccia conserte lavorano, le mani giunte fanno. Lo sguardo al cielo è un'opera” […]
“Siamo per la religione contro le religioni. Siamo di quelli che credono nella miseria delle orazioni e nella sublimità della preghiera”.

Victor Hugo, I miserabili

d.

venerdì 30 ottobre 2009

Che Camelot bruci e presto



Non voglio che si ripeta l'errore che mio padre e una intera generazione fecero con Kennedy: la santificazione del presidente a prescindere dall'escalation in Vietnam (per ricordarne una). Una persistente allucinazione collettiva. C'è un suo agiografo, il Veltroni: non ce l'ha fatta, l'aureola di JFK non ha passato l'atlantico, forse perchè il Kennedy nostrano con l'agent orange ha ammazzato solo buona parte della storia della sinistra italiana. Se non è stato pagato per farlo, è solo più grave. Di lui si ricorderà l'imbelle e sempre fuori da liste di proscrizione Fabio Fazio, ne sono certo.

Ora con Obama, torna il problema. Problema sì, perchè basta essere meno ignoranti e grossolani di Bush jr per diventare una speranza (della sinistra): dalla guerra preventiva al Nobel preventivo. Un libro sulla politica estera Usa uscito nel 2005 si intitolava "Il serpente e la colomba" (ed. Garzanti), alternanza di soft e hard power nella strategia di dominio a stelle e strisce. Ebbene questo titolo è fuori luogo.

Con l'avvento di Obama si apre la stagione de "Il serpente è la colomba". Il serpente astuto, viscido, silenzioso, ingannatore: caratteristiche tutte che, dopo i fragori buschisti, meglio si adattano alla volontà Usa di rispondere alla minaccia multipolare e di riconquistare, con i sogni, una attrattiva perduta sotto il colpo della durezza e della crisi. Il giovane democratico è l'uomo adatto, che ne sia consapevole o meno poco mi frega. Anzi, secondo Gore Vidal, è l'uomo che i militari attendevano per fare a loro piacimento in Afghanistan.

E tutto funziona a meraviglia: a Kabul piovono truppe, in Honduras le condanne ai colpi di stato si limitano alle parole, perchè gli embarghi sono solo per Cuba, nei pezzetti di America Latina ancora fedeli (la Colombia) si apprestano basi con intenti sovversivi e con Israele la musica non cambia.

Ma su Camelot, questo è il problema, splende d'oro il velo di Maya.

d.

mercoledì 21 ottobre 2009

Ad un amico scrittore ...


Poichè l'italiano nasce scrittore e muore senza leggere, pubblico un consiglio di un certo peso (anche ironico)

"L'agente letterario è stato l'uovo deposto da una industria editoriale che aveva cominciato a preoccuparsi molto più della pubblicazione e divulgazione di best-sellers che della pubblicazione e divulgazione di opere di merito. Gli scrittori, gente per lo più ingenua che si lascia facilmente illudere dall'agente letterario di tipo sciacallo o pescecane, corrono dietro a promesse di grossi anticipi e di promozioni letterarie come se da ciò dipendesse la loro vita. Un anticipo è solo un pagamento in acconto, e, quanto a promozioni, tutti abbiamo l'obbligo di sapere, per esperienza, che la realtà è sempre al di sotto delle aspettative".

J. Saramago, Il Quaderno, Bollati Boringhieri

d. (ma per la fonte s.)

martedì 20 ottobre 2009

Fantozzi a Kabul


Qualche mese fa provare a mettere in dubbio la regolarità delle elezioni afghane significava candidarsi alla gogna del mercato sotto casa come a quello mediatico. Siamo così distanti dalla guerra mondiale da non ricordarci - ma in fondo basta solo un pochetto di fatica - che in un paese occupato le elezioni non possono essere libere. Diamo per scontato - insomma dimentichiamoci della Florida tanto amata da Al Gore - che esistano elezioni libere, perchè la discussione andrebbe oltre il diluvio universarle pianificato per il 2012 dai Maya di Al Qaida.

Ora - evviva la forza dell'informazione libera - veniamo a sapere, a riconferma della tesi sopra esposta, che in Afghanistan in molto seggi si è votato come Fantozzi timbrava le buste in ufficio: in serie e tutte nello stesso punto. Un milione e mezzo di voti sono irregolari. Roba da annullare tutto. Invece no, i voti falsi vengono detratti e si convince il votatissimo Karzai ad accettare il ballottaggio.

Insomma, siamo a Kabul non a Teheran. Qui non c'è nessun bel ragazzotto, ben vestito e pronto per le telecamere, che chiede "where is my vote?".

d.

mercoledì 17 giugno 2009

Squadracce e guerra tra poveri


Crisi economica, deriva securitaria e razzismo: un mix che abbiamo sotto gli occhi. E ancora di più: le ronde nere con la volontà di pattugliare le nostre strade, il moltiplicarsi di divieti per i soli extracomunitari (non li vogliamo neppure nei giardini pubblici), la volontà di chiudersi in piccoli fortini (per difendere spesso ciò che si pensa di avere), la guerra tra poveri, noi bianchi il bene loro, i diversi, il male e il riemergere dallo stanzino buio della storia dei simboli nazisti (quelli fascisti sono troppo moderati ormai).

Stati Uniti anni '30, la Grande Depressione: tempi diversi, certo, ma risposte e pulsioni tremendamente simili.

"E dicono: vedi come sono lerci, questi maledetti Okies [immigranti Usa in California provenienti dal sud e dal Midwest]; ci appestano tutto il paese. Nelle nostre scuole non ce li vogliamo, perdio. Sono degli stranieri. Ti piacerebbe veder tua sorella parlare con uno di questi pezzenti? E così le popolazioni si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che maneggiano le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur sempre qualcosa. L'impiegatuccio pensa: io gaudagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti?".

Citazione da: J. Steinbeck, Furore, Bompiani.

d.

venerdì 12 giugno 2009

Tolstoj, stampa e progresso


"Il progresso della stampa, come per il progresso dei telegrafi elettrici, è monopolio di una data classe della società e vantaggioso per gli uomini di questa classe, i quali con la parola progresso intendono solo il proprio vantaggio personale, che, di conseguenza, è sempre opposto al vantaggio del popolo".

Tratto da: Tolstoj, La morte di Ivan Il'ic, Garzanti

d.

giovedì 11 giugno 2009

La nostra idea è la ragione!


In uno dei primi post di questo blog abbiamo scritto di belle speranze che hanno animato la lotta dei rivoluzionari. Ed ora, all'indomani di un duro colpo elettorale, oltre alla ineludibile necessità di capirne le cause, credo che il recupero della nostra speranza, della nostra simbologia sia esso stesso un compito necessario. E lo faccio riportando evocative parole di Antonio Gramsci sul Primo Maggio. Ricordiamoci: oggi perdere la speranza non vale la pena, perchè abbiamo alle nostre spalle una storia di sacrifici e di sangue versate.

È, ogni anno, la sintesi internazionale, la radunata di tutte le nazioni del mondo, nelle città e nei paesi di tutte le nazioni del mondo, delle energie simpatiche, il distendersi delle sulla superficie terreste bagnata di sudore, irrorata di sangue, delle folle sterminate che compiono un rito, che si contano, che nel sapersi tante acquistano maggiore coscienza della fatale necessità che l'idea trionfi, perché essa è la ragione, perché essa è l'anima stessa degli uomini, perché solo essa nella millenaria storia della civiltà è riuscita a far muovere tanti uomini […]”.

È il convegno del mondo, dei lavoratori di tutto il mondo, è un momento della vita mondiale, è una anticipazione, nell'attualità, di ciò che dovrà essere la vita della società futura: comunione universale dello spirito umano, coscienza sentita di esistere con tutti gli altri, di essere tutti gli uomini legati ad uno stesso partito, di essere debitori di una stessa promessa, elevarsi, sviluppare la propria umanità, diventare i dominatori delle forze naturali e storiche, per fare di esse strumento mirabile alla rigenerazione, alla umanizzazione della belva che sonnecchia nel cuore di ognuno, e il cuore vermiglio lanciare verso il sole purificatore”.

Antonio Gramsci, Il Primo Maggio 1918, Il grido del popolo.

d.

venerdì 5 giugno 2009

dante, il prezzo del successo


dante, il padre della lingua italiana. dante, bandiera dell'italianità colta nel mondo. roberto benigni con la sua operazione letteral-mediatica legata alla pubblicazione del libro “il mio dante” e prima ancora alla declamazione della divina commedia nelle piazze italiane ed estere, ha recentemente rinfrescato la memoria dei più sulle straordinarie capacità compositive del sommo maestro.
eppure l'affermazione della divina commedia non seguì un processo del tutto lineare. la tradizione orale diede spazio a diverse storpiature del testo e in alcuni casi fu lo stesso dante, di passaggio, ad ammonire “in diretta” i vari cantori improvvisati.
il libro “classici dietro le quinte”, appena pubblicato da laterza e scritto da giovanni ragone, illustra a tal proposito le tappe che portarono alla pubblicazione della divina commedia. perduti i manoscritti originali, seguirono diverse versioni del testo, molte volte soggette a cattive interpretazioni. svolta importante nella ricostruzione e diffusione dell'opera venne data da giovanni boccaccio, il cui testo distava in realtà in maniera vistosa dall'originale. boccaccio ebbe comunque anche il merito di “introdurre” la lettura della commedia al petrarca (che per molti letterati dell'epoca divenne l'avversario letterario dello stesso dante). chiudiamo questo breve intervento ricordando il rilancio che l'opera dantesca ebbe sotto i medici, quando anche molti fiorentini riuscirono a “digerire” gli attacchi lanciati dal poeta nella commedia all'indirizzo dei loro antecedenti concittadini.

il libro:
giovanni ragone, classici dietro le quinte, ed. laterza

s.

A 20 anni da Tienanmen


Prosegue la canea anticinese degli imperialisti: dopo le accuse di genocidio nei confronti dei tibetani, ecco le "disinteressate" e "democratiche" celebrazioni dei vent'anni dai fatti di piazza Tienanmen.

Insomma, è riesplosa l'Internazionale dello "stracciamoci le vesti" che della Cina Popolare ha fatto il suo costante obiettivo.

Per ricostruire i fatti di quel lontano 1989, ecco, alla nostra e vostra attenzione, un articolo dello storico Domenico Losurdo.

Tienanmen, 20 anni dopo >>

d.

giovedì 4 giugno 2009

Invasione! Cacciamoli, ammazziamoli!


Gli italiani cominciano ad esagerare con le loro pretese. Presto ci tratteranno come un Paese conquistato […]. Fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi a vantaggio del loro Paese”; I Francesi devono essere protetti da “questa merce nociva, e peraltro adulterata che si chiama operaio italiano”.

Così nel 1893 – ma sembra di leggere una Padania di un secolo dopo - si esprimeva la stampa nella Francia meridionale – cito Le Jour e La Lanterne - a proposito dell'immigrazione italiana (essenzialmente “padana”). E nell'agosto dello stesso anno, a Aigues Mortes (Camargue), avviene il primo eccidio nella lunga e sanguinosa storia della nostra emigrazione: 9 operai linciati da una folla inferocita di lavoratori locali.

Agli italiani, come rilevava l'Internazionale socialista due anni prima, toccava il compito “umiliante di turbatori di sciopero e di rinvilitori di salario”. A questi, insomma, si rivolgeva il padronato locale per sostituire gli scioperanti francesi (in lotta per miglioramenti salariali, non per divertimento!) o per tenere bassi, con una concorrenza fatta di disperati e affamati, i loro salari.

L'odio e le paure dei lavoratori francesi si scagliarono così contro l'obiettivo sbagliato, contro una massa di disperati diventata massa di manovra dei padroni degli uni come degli altri. Quei padroni che parlavano pubblicamente di difesa del lavoro nazionale e privatamente lavoravano a difesa del proprio profitto … grazie a noi pezzenti italiani.

E quando, mi chiedo, noi lavoratori italiani, minacciati nei diritti come nei redditi, ci lanceremo contro i nostri finti nemici? Quando, così poveri ma tanto fieri della nostra italianità, faremo la gioia dei nostri padroni?

Ps:
Così si si leggeva nella inchiesta parlamentare francese (Rapporto Spuller) sulla condizione operaia del 1884: “L'operaio italiano è caratterizzato dal fatto d'essere più docile, più malleabile; gli si fa fare tutto ciò che si vuole, abbassa la schiena e tende la guancia per ricevere un altro schiaffo. Come uomo, trovo la cosa rivoltante. Questi operai non hanno dignità personale; sopportano tutto, chinano il capo e obbediscono”.


Da leggere:
Morte agli Italiani!”, Enzo Barnabà, edizioni Infinito

d.

lunedì 1 giugno 2009

Il “mostro” disse: vendete le vostre braccia


Stati Uniti anni '30: il capitale bancario arriva nelle campagne sotto forma di trattrici diesel e scaccia dai campi contadini e mezzadri: che elemosinino altrove il lavoro. E ancora una nuova guerra tra poveri. Un incubo sulle zolle americane, la fine del sogno jacksoniano del contadino che dissoda la sua terra, proprio quando il neo presidente Roosevelt annuncia che i “mercanti sono fuggiti dal tempio della nostra civiltà”.

Ecco le parole di John Steinbeck (Nobel per la letteratura 1962):

E arrivarono le trattrici. […] Mostri dal grifo appuntito che procedevano il linea retta sui loro cingoli entro nuvole di polvere, grufolando inesorabili, superando palizzate, cortili, avvallamenti, squarciando la terra, insinuandosi sotto gli atrii delle case coloniche, dissodando le aie, scalando ripe, abbattendo cinte, ignorando ogni ostacolo.
Sul suo sedile di ferro il conducente non aveva aspetto umano. Inguantato, occhialuto, mascherati il naso e la bocca contro la polvere, era parte integrante, del mostro, era un fantoccio meccanico. […]
Il conducente non poteva impedire al mostro di avanzare e retrocedere in linea retta per la campagna e di travolgere nella sua marcia dozzine di fattorie. Azionando leve e comandi si sarebbe potuto deviarlo, ma il conducente non poteva perché un altro mostro, il mostro che aveva costruito la trattrice, che l'aveva inviato sul posto s'era immesso nella mani, nel cervello, nei muscoli del conducente, lo teneva imbrigliato e imbavagliato … imbrigliata la mente, imbavagliata la bocca, imbrigliate le sue facoltà di percezione, soffocata ogni sua voce di protesta. Non poteva vedere la campagna così com'era, né assaporare l'odore genuino della terra, né calpestarne le zolle, né sentirne il calore e la forza. Sedeva su uno sgabello di ferro e premeva pedali di ferro. Non poteva apprezzare né comprimere, o maledire o incoraggiare il proprio potere nei confronti della terra e di conseguenza era incapace di provare gioia o tormento, furore o sollievo. Non conosceva la terra, non era sua, non aveva fede in lei, non la supplicava. Se un granello di seme non germinava, egli non se ne dava pensiero. Se i teneri sprocchi appassivano nella siccità o affogavano sotto la pioggia, egli rimaneva indifferente, come la trattrice.
Non amava la terra, non più di quanto l'amasse la banca; ma non amava nemmeno la trattrice. […] Il conducente sul suo sgabello di ferro s'inorgogliva dell'impeccabile dirittura dei solchi che non tracciava lui, della trattrice che non era sua e ch'egli non amava, della potenza di cui si sapeva schiavo. E s'arrivava alla maturazione a alla mietitura senza che nessun essere umano avesse sbriciolato con le mani le tiepide zolle o setacciato la terra tra le dita, senza che nessuno avesse toccato il seme o ne avesse spiato con ansia la crescita. Gli uomini mangiavano ciò che essi non avevano coltivato, più nessun vincolo li legava al proprio cibo. La terra s'apriva sotto il ferro e sotto il ferro gratuitamente inaridiva: nessuno c'era più ad amarla o a odiarla, nessuno più la supplicava o malediceva. […]"

J. Steinbeck “Furore”, ed. Bompiani.

sabato 30 maggio 2009

libri al rogo


andiamo indietro di qualche post: non tantissimi peraltro vista la giovane età di questo blog. parlavamo di roghi della cultura facendo riferimento a "i libri bruciano male" opera dello scrittore manuel rivas e, poco più in là, parlavamo del premio nobel della letteratura josè saramago.
ebbene (come nella più involontaria delle profezie) oggi i due argomenti sono tristemente correlati. non siamo nella spagna franchista (dove è ambientata l'opera di rivas), ma nell'italia dei nostri giorni. eppure un libro di josè saramago è stato rifiutato dalla sua casa editrice nostrana (la einaudi) a causa delle opinioni espresse dal portoghese in merito al premier silvio berlusconi. evidentemente a mostrarsi eversivi non sono solo i giudici italiani, ma anche gli scrittori portoghesi. ma poco conta perchè l'antidoto è pronto ed efficace: mettiamo un altro bavaglio alla cultura, censuriamo i dissensi e sintonizziamoci sul prossimo reality. gli studi televisivi non servono più: il vero show è fuori.


PS: per la cronaca il libro di saramago sarà edito da bollati boringhieri.

s.

giovedì 28 maggio 2009

21 aprile? Lo si festeggi



Mussolini, con regio decreto del 19 aprile 1923, abolisce la ricorrenza civile del Primo Maggio (lo era da un solo anno) per sostituirla con quella del 21 aprile, data della fondazione di Roma. Però! patetico tentativo - lo dimostrerà la storia - di eliminare con una legge la manifestazione operaia frutto di decenni di lotte del movimento dei lavoratori.

Epperò anche la data del 21 aprile non è estranea alla storica rivendicazione operaia delle otto ore di lavoro. Lo rivela, con ironica soddisfazione, un manifesto datato 1923 dell'Unione Sindacale Italiana:

"Il 21 aprile. E' la festa dei lavoratori ... australiani. Fu infatti il 21 aprile del 1856 che in Australia venne largamente estesa a molte altre categorie di operai la giornata di otto ore".

Insomma, anche questa data è patrimonio del movimento dei lavoratori. Festeggiamola come aperitivo al Primo Maggio, i fascisti hanno preso un abbaglio!

d.

lunedì 25 maggio 2009

risposte


"la vita se la ride delle previsioni, mette parole dove noi abbiamo immaginato dei silenzi e repentini rientri quando pensavamo che non ci saremmo incontrati più",
(josè saramago)

ecco un piccolo saggio de "il viaggio dell'elefante" l'ultimo libro del premio nobel per la letteratura josè saramago,
potere evocativo, impegno sociale e uno stile personalissimo di scrittura sono alla base dei romanzi dello scrittore portoghese.

s.

domenica 24 maggio 2009

Brucia il libro!


Luglio 1936: il pronunciamento militare franchista si abbatte sulla "bella" Spagna repubblicana. "Bella" perché animata dalle speranze di sfruttati da secoli tenuti a bada dal tallone di ferro di "lor signori".

"Moltiplicatevi e spargetevi come carne da cannone. Un impero di ossa che aumentano anno dopo anno. E poi i morti della guerra di Spagna. Quello che avevano perso fuori, i militari erano venuti a conquistarselo dentro".


Alle fucilazioni di massa di repubblicani, comunisti e anarchici si accompagnano i roghi di massa dei libri: estirpare gli uomini liberi e le pagine che liberi li avevano cresciuti. Bruciare il libro è negare l'uomo, perché questo non è lo squallido bottegaio attaccato al piccolo cabotaggio del suo interesse. No! E' lo spirito critico, la bella speranza.
Non è il fascista e non è il golpista, cinici e astiosi affossatori della speranza di riscatto. Perché questa è nostra, me lo dicono le loro paure, le loro repressioni, le loro botte, le loro fucilazioni, i loro roghi.

"I libri come criminali, arrestati, messi al muro. Di spalle alla gente. In fila, pigiati senza lo spazio per potersi allungare, in un silenzio muto. [...] Passeranno i giorni, i mesi e gli anni, e i libri arrestati spariranno a poco a poco".

Ma i libri pare non sempre brucino bene ...

(Citazioni tratte da Manuel Rivas "I libri bruciano male", Feltrinelli)

d.

mercoledì 6 maggio 2009

Il Primo Maggio a Brescia


Il primo intervento di questo blog, frutto della sensibilità e della mente di due persone, è dedicato al mio libro da poco pubblicato da Ediesse e dedicato al Primo Maggio.

"La Festa dei lavoratori. Il Primo Maggio a Brescia dalle origini alla Prima guerra mondiale", Diego Bertozzi, Ediesse, 2009, Roma.

Scrivere una storia del Primo Maggio non significa limitarsi a ripercorrere le tappe di una manifestazione che si ripete di anno in anno da più di un secolo. Significa anche raccontare la storia di una speranza di riscatto, di una utopia, quella socialista di una società di eguali e senza sfruttamento, che per un giorno sembra farsi reale nelle speranze e nei comportamenti dei lavoratori in festa.
Tradotto sul piano locale, il Primo Maggio, dalle origini alla prima guerra mondiale, è la cartina di tornasole degli sviluppi del giovane socialismo bresciano: i difficili inizi, la repressione, le prime libertà, la conquista della città in alleanza con i liberali, le divisioni interne tra riformisti e rivoluzionari, lo scontro con il forte movimento cattolico e l’addensarsi delle prime nuvole belliche.
Il Primo Maggio è tutto questo: speranza, riflessione e accesa lotta politica.