venerdì 30 ottobre 2009

Che Camelot bruci e presto



Non voglio che si ripeta l'errore che mio padre e una intera generazione fecero con Kennedy: la santificazione del presidente a prescindere dall'escalation in Vietnam (per ricordarne una). Una persistente allucinazione collettiva. C'è un suo agiografo, il Veltroni: non ce l'ha fatta, l'aureola di JFK non ha passato l'atlantico, forse perchè il Kennedy nostrano con l'agent orange ha ammazzato solo buona parte della storia della sinistra italiana. Se non è stato pagato per farlo, è solo più grave. Di lui si ricorderà l'imbelle e sempre fuori da liste di proscrizione Fabio Fazio, ne sono certo.

Ora con Obama, torna il problema. Problema sì, perchè basta essere meno ignoranti e grossolani di Bush jr per diventare una speranza (della sinistra): dalla guerra preventiva al Nobel preventivo. Un libro sulla politica estera Usa uscito nel 2005 si intitolava "Il serpente e la colomba" (ed. Garzanti), alternanza di soft e hard power nella strategia di dominio a stelle e strisce. Ebbene questo titolo è fuori luogo.

Con l'avvento di Obama si apre la stagione de "Il serpente è la colomba". Il serpente astuto, viscido, silenzioso, ingannatore: caratteristiche tutte che, dopo i fragori buschisti, meglio si adattano alla volontà Usa di rispondere alla minaccia multipolare e di riconquistare, con i sogni, una attrattiva perduta sotto il colpo della durezza e della crisi. Il giovane democratico è l'uomo adatto, che ne sia consapevole o meno poco mi frega. Anzi, secondo Gore Vidal, è l'uomo che i militari attendevano per fare a loro piacimento in Afghanistan.

E tutto funziona a meraviglia: a Kabul piovono truppe, in Honduras le condanne ai colpi di stato si limitano alle parole, perchè gli embarghi sono solo per Cuba, nei pezzetti di America Latina ancora fedeli (la Colombia) si apprestano basi con intenti sovversivi e con Israele la musica non cambia.

Ma su Camelot, questo è il problema, splende d'oro il velo di Maya.

d.

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