giovedì 17 dicembre 2009

La Cina e l'Africa: banco di prova per un mondo multipolare


Il 27 marzo del 2009 il Sudafrica decise di negare il visto d'ingresso al Dalai Lama, chiamato a partecipare ad una conferenza che vedeva riuniti i premi Nobel per la pace. Una notizia che fece seguito alle pressioni esercitate dal governo cinese e che attirò forti critiche su quello sudafricano. E' stato questo uno dei segnali, forse il più eclatante, della crescente influenza politica della Cina nel continente africano. Una influenza frutto della forte penetrazione economica iniziata all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Tanto che ormai sono più di ottocento le aziende cinesi presenti in ventotto paesi africani.

Per la Cina comunista l’Africa è ormai una vera e propria priorità strategica sullo scenario internazionale come evidenzia il recente saggio "L'Africa cinese" di Stefano Gardelli (Università Bocconi Editore, 2009).

Le linee d'azione di Pechino sono quelle del reperimento di materie prime (petrolio in primis), di beni primari come i cereali e dell'accesso a nuovi mercati visti come potenzialmente molto interessanti per la propria economia in continua espansione. Necessità classificate ormai nel campo della sicurezza nazionale e che costringono – e costringeranno sempre più - il gigante asiatico ad intervenire in aree del continente.

La sua forza nella politica di aiuti economici e degli investimenti, se confrontata a quella dell’Occidente, risiede, secondo l’autore, nei principi della "non interferenza negli affari interni", del "mutuo rispetto" e del "mutuo beneficio" (win-win cooperation). La continua sottolineatura dell'inviolabilità della sovranità nazionale è infatti un messaggio ben accetto da governi africani, spesso isolati dalla comunità internazionale, e che vedono, invece, nelle condizioni poste dai Paesi occidentali e da istituzioni come il Fondo monetario e la Banca mondiale una forma di neocolonialismo. Il messaggio forte proveniente da Pechino è quello della solidarietà tra paesi in passato vittime del colonialismo e di un rapporto alla pari.

I numeri degli aiuti sono impressionanti: nell’ambito del Forum per la Cooperazione Africa Cina (FOCAC) – l’organismo diplomatico creato nel 2000 da Pechino e riunitosi fino ad oggi tre volte - il paese asiatico ha concesso una linea di credito e prestiti per un valore di 5 miliari di dollari e ha promesso di accrescere il commercio bilaterale con l'Africa fino ad una cifra superiore ai 100 miliari di dollari entro il 2010. Inoltre la politica di Pechino si manifesta nella cancellazione del debito dei paesi africani più poveri, nella concessione di prestiti a tasso zero e nell'innalzamento delle merci esportabili in Cina senza tariffa doganale. Ormai la Exim Bank – una banca di stato cinese – è diventata la più grande fornitrice di prestiti e finanziamenti all’Africa superando la Banca Mondiale.

La logica dei prestiti, tutta politica e alla quale sottostanno anche le imprese private cinesi, è legata a settori legati all’industria estrattiva e alle annesse infrastrutture che più rispondono agli interessi di Pechino. Ma la politica degli aiuti e degli investimenti porta alla Cina un risultato politico di indubbio valore come il sostegno dei Paesi Africani in materie come il rispetto dei diritti umani, la questione tibetana e il riconoscimento di Taiwan, e l’appoggio alla formazione di un quadro multipolare di relazioni internazionali.

Ma, nello stesso tempo, come sottolinea Gardelli, Pechino è costretta a difendere e sostenere governi instabili o condannati dalla comunità internazionale come quello sudanese o dello Zimbabwe, oppure a far pesare la sua forza nelle vicende politiche interne a dispetto dell’enunciato rispetto della sovranità nazionale. Aspetti, quest’ultimi, con i quali la Cina dovrà fare sempre più i conti. Certo è che l’Africa è il terreno sul quale si giocherà la capacità cinese di proiezione globale.


d.