giovedì 3 giugno 2010

Questo è il riformismo. L'altro è un inganno


Quando il riformismo socialista – il graduale avvicinamento al socialismo attraverso conquiste progressive - era una politica seria e conseguente alle sue idealità. Era coscienza ferma e ferrea, non in vendita. Non adusa al facile compromesso e all'accordo bottegaio, ma rispettosa dei suoi doveri verso i lavoratori e le masse dell'Italia e non solo. Quando il pacifismo, del quale il riformismo socialista si alimentava, non era una vuota parola, un inganno verbale per giustificare colpevolmente invasioni e aggressioni.

A quel riformismo socialista d'inizio Novecento, fatto di martiri e militanti instancabili, noi non possiamo non dirci collegati, generati e innervati. Certo, anche per denunciarne i limiti così da ereditarne le maggiori conquiste. Coraggioso, realista e libero da un'inutile e deleteria verbosità rivoluzionaria che copre solo la meschinità dell'inazione. I riformisti di oggi lo liquiderebbero subito come “terrorismo” e “violenza” perché loro è il monopolio della parola, loro è il privilegio da difendere.

Ecco cosa scrivevano i riformisti Prampolini e Matteotti, un padre e un martire del socialismo italiano, a proposito dell'aggressione italiana alla Libia nel 1911 e di fronte ai tanti “rivoluzionari” infatuati della rivoluzionaria impresa bellica e ai tanti seduttori delle masse italiane nel nome della nuova terra da coltivare e della missione di civiltà:

Prampolini

Non parliamo del proletariato arabo che anela a maggiore giustizia. Per carità. E chi potrebbe mai sostenere che i nostri forcaioli nazionalisti, compresi gli agrari emiliani, abbiano voluto la Tripolitania per amore … del proletariato”.

Avrei desiderato dare questo grande scandalo: di andare a combattere a fianco degli arabi, a difesa della loro indipendenza, per salvaguardare il diritto

L'impresa libica doveva essere secondo le notizie ufficiali e ufficiose, una semplice passeggiata militare … Ma sono passati più di 11 anni, ed ecco che la guerra – mai veramente cessata – si riaccende. I “ribelli” sono gli arabi. Essi difendono bensì il loro paese e compiono quindi il loro dovere patriottico”.

Matteotti, 1914

Se vi è un luogo dove oggi si lotti per la libertà della patria, quest'è in Tripolitania, e non di qua delle prime dune di sabbia”.

Io, comunista, ho alle spalle questa storia. Questa storia rivendico. Questa storia continuo: oggi questo blog è riformista.

lunedì 10 maggio 2010

Il comodo cliché dell'oscurantismo


Tanti gli anatemi che la sinistra post - ex - simil - comunista ormai lancia dalla sua cattedratica minoranza. E tutti, alla fine, contro se stessa e la sua storia. Contro strumenti e categorie di analisi. Contro i popoli in lotta che resistono. Li ricordiamo tutti vero? Contro i resistenti iracheni, contro quelli afghani, tanto per citare i più cattivi che minacciano pure i "nostri ragazzi". Orgasmi nazional-patriottici che inquinano il movimento operaio fin dalla ricerca della quarta sponda (Libia 1911) e dalle avvisaglie della prima guerra mondiale.

E poi cosa ancora? Ah ecco! No alla lotta del popolo palestinese, che pacificamente deve farsi rastrellare nei propri ghetti dopo aver scelto Hamas, e ancora meno alla resistenza di Hezbollah nel Libano del Sud mentre Beirut viene bombardata. Ma siamo pazzi? Sostenere due forze dell'oscurantismo islamico - così ci dicono - che vogliono la cancellazione di Isralele! (Favola che ci racconterenno fino a quando l'ultimo palestinese sarà ospite imbalsamato del museo egizio di Torino). Mai! Almeno fino a quando quei due popoli non saranno guidati da illuminati e occidentali movimenti di sinistra, magari pure favorevoli alle unioni di fatto.

Vabbè, si fotta l'antimperialismo, quella vecchia categoria di analisi che ha fin troppo disturbato, facendosi pure prassi, le nostre tante missioni di civiltà! Io ci resto, ahimè, legato e concludo l'invettiva con un buon ripasso. Con le parole di un comunista neppure troppo estremo come Giorgio Amendola:

"Il fatto che la lotta degli arabi fosse diretta dal Grande Mufti di Gerusalemme, che rappresentava l'ala più reazionaria e fanatica del vecchio islamismo, non poteva trarci in inganno sul carattere nazionale ed antimperialista del movimento arabo".

(da "Una scelta di vita")

martedì 4 maggio 2010

XXI secolo: Gesù o Barabba?


"Credi tu, mastro Eutimio, che la scelta dei collesi sarebbe a favore di Gesù e contro Barabba, anche se Barabba si presentasse qui a cavallo, in grande uniforme, col petto ricoperto di decorazioni, alla testa di una legione di uomini armati, acclamato da una turba di servi in livrea, di scribi di corifei d'oratori di sacerdoti, e se Gesù invece vi fosse mostrato tra due sbirri, come un povero cristo qualsiasi, come un profugo un fuorilegge un senza-patria, un senza-carte qualsiasi? E' una semplice domanda, una domanda che rivolgo anche a me stesso, ma ora sarei curioso di udire la tua risposta".

[Tratto da "Il seme sotto la neve" di Ignazio Silone]

giovedì 1 aprile 2010

A volte ritornano ... e non che mi dispiaccia



La lotta sui simboli e sulla storia, giusto per ripristinare un poco di verità, è in tutti i sensi una lotta politica.

"I nazisti ucraini saranno colpiti" Il dirigente del Partito Comunista Ucraino, il compagno Alexander Zubtcheviski, informa che in un luogo ancora segreto della città sud-orientale ucraina di Zaporozhye che conserva la bella statua gigante di Lenin che si vede nella foto, in aprile verrà inaugurata una statua di granito rosso dell'altezza di ben tre metri raffigurante Stalin, per onorare il suo ruolo da protagonista come capo dell' Armata Rossa e del Partito Bolscevico che schiacciò la peste hitleriana e i suoi lacchè nazionalisti ucraini, lituani, lettoni e altra simile gentaglia europea. I compagni vigileranno in modo permanente la statua per prevenire qualsiasi attacco dei nazi-nazionalisti ucraini che hanno accolto la notizia come una "provocazione". Oltre alla loro cacciata dal governo decretata dal popolo ucraino, i compagni onorano il loro peggior nemico: l'immortale Stalin.

da www.resistenze.org
a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

venerdì 19 marzo 2010

Comunisti, colonialismo e resistenza: la lezione di Togliatti


Nell’Italia resiste da mezzo secolo un mito: quello del colonialismo dal volto umano, del soldato italiano impegnato a portare la civiltà (strade, ospedali, scuole …) in Africa (Libia, Somalia, Eritrea e Abissinia). Un’intera pagina della nostra storia tenuta nascosta, coperta dalla polvere degli archivi, quando non negata, e sacrificata all’immagine di un colonialismo preteso come diverso. Oppure espulsa dalla storia patria come una parentesi legata al regime fascista, anch’esso, per alcuni, un incidente di percorso. Parentesi all’interno di parentesi che altro non fanno che nascondere la verità e rinviare la resa dei conti, la riflessione con le nostre “pagine nere”.

Le pagine tipiche di ogni colonialismo non solo quello fascista, ma dell'intero Occidente: repressione, despecificazione, genocidio e segregazione razziale. Nazismo e fascismo non sono che i figli legittimi di questa tradizione.


Un mito che ha ripreso vigore più che mai in questi anni di guerra contro il "terrorismo". Ancora i nostri soldati, armati di tutto punto, ad esportare civiltà e democrazia. Noi siamo diversi, noi non facciamo la guerra, noi non occupiamo, aiutiamo. Ancora scuole, ospedali, strade…

Più volte Angelo del Boca, lo studioso del colonialismo italiano, ha chiesto di fare i conti con questa parte della nostra storia, di portare alla luce del sole le atrocità commesse e restituire la dignità ai popoli oppressi e alla loro resistenza all’aggressione. Una resistenza, ovviamente armata, che è nata come risposta non solo ad una invasione ma, soprattutto, ad un progetto di sterminio attuato con rastrellamenti, fucilazioni, bombardamenti indiscriminati e campi di concentramento. Una resistenza tenace e popolare fatta di uomini, donne e bambini pronti a sostenere moralmente e logisticamente i combattenti.

Per stroncare la ribellione e spezzare il forte legame tra ribelli e popolazioni, le autorità italiane ricorsero fin dall’inizio a fucilazioni di massa e incendi di villaggi, e sfruttarono una superiorità tecnologica che rendeva impari ogni confronto. Durante l’aggressione alla Libia del 1911 (il fascismo ancora non c'era) debuttarono, per la prima volta nella storia, i bombardamenti aerei e si sperimentarono quelli chimici poi utilizzati su vasta scala nel 1935-36 per piegare la resistenza abissina: ben 1597 le bombe a gas sganciate. Bombardamenti indiscriminati su villaggi, raccolti e bestiame. Tutta la popolazione indigena era sospettata di essere ribelle e complice dei banditi. Chiarissimi, a questo proposito, gli ordini di Mussolini a Graziani impegnato nella repressione in Libia: “autorizzo ancora una volta V.E. a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici”. E a Badoglio pochi giorni prima dell’ingresso delle truppe italiane in Addis Abeba (maggio 1936): “Occupata Addis Abeba V.E darà ordine perché: 1) siano fucilati sommariamente tutti coloro che in città o dintorni siano sorpresi con le armi alla mano, 2) siano fucilati sommariamente tutti i giovani etiopi, barbari, crudeli, pretenziosi, autori mortali dei saccheggi, 3) siano fucilati quanti abbiano partecipato a violenze, saccheggi, incendi 4) siano sommariamente fucilati quanti, trascorse 24 ore, non abbiano consegnato armi da fuoco e munizioni”. Lo testimoniano ancora meglio i quindici campi di concentramento sparsi tra Libia, Eritrea e Abissinia in cui anche semplici sospetti morivano per fame, epidemie di tifo, dissenteria, violenza dei guardiani ed esecuzioni giornaliere a cui i prigionieri erano costretti ad assistere. Un esempio per tutti: quando in Libia nel 1930 Graziani trasferì forzatamente centomila persona dalla Marmarica nei campi di concentramento nella Sirtica, ben 40 mila morirono durante la marcia e in tre anni di prigionia.

Sullo sfondo di questa guerra di sterminio agiva l’ideologia della missione di civiltà, mascheratura e giustificazione del colonialismo europeo ed occidentale. Ad affrontare le truppe italiane non c’erano uomini, ma barbari appartenenti a razze inferiori, inabili e avviate al regresso. Contro non-uomini come i resistenti libici o abissini tutto diventava lecito. D’Annunzio parlava degli arabi come “non uomini ma cani”, Giolitti si augurava che vi potessero essere solo guerre coloniali perché significavano “la civilizzazione di popolazioni che in altro modo continuerebbero nella barbarie” e, infine, Badoglio, governatore della Libia, sottolineava nel 1929 che “noi siamo qui la nazione dominante che ha cacciato via l’inetto dominatore e vi si è sostituita per esercitare un’alta missione di civiltà” da portare a compimento “a qualsiasi costo”. Questo è stato, in sintesi sommaria, il colonialismo italiano dal volto umano cui si ribellarono, nel silenzio della propaganda, interi popoli.

A fianco di quello abissino si schierò, invece, nel 1935, alla vigilia dell’attacco italiano (italiano, non semplicemente fascista), il Partito comunista d’Italia. Così si espresse Togliatti nel VII congresso dell’Internazionale comunista:


Il Pcd’I ha completamente ragione di prendere un atteggiamento disfattista verso la guerra imperialista del fascismo italiano, lanciando la parola d’ordine Giù le mani dall’Abissinia e io vi assicuro che se il Negus d’Abissinia spezzando i piani di conquista del fascismo, aiuterà il proletariato italiano ad assestare un colpo tra capo e collo al regime delle camicie nere, nessuno gli rimprovererà di essere arretrato. Il popolo abissino è alleato del popolo italiano contro il fascismo e noi gli esprimiamo la nostra simpatia”.


Una posizione libera da ogni cedimento all’ideologia colonialista e in grado di comprendere il valore universale e la portata strategica della lotta anti-colonialista di fronte ad un fascismo ormai prossimo all’alleanza con il nazismo.

Una tradizione di lotta antimperialista e anticoloniale che oggi, nel campo della sinistra italiana, ha lasciato il posto ad un confuso ed inconcludente pacifismo assoluto. Di fronte alle occupazioni di Afghanistan e Iraq e allo sterminio del popolo palestinese, si nega, non solo solidarietà, ma anche la legittimità alla resistenza armata. Scompare la distinzione fra aggressore e aggredito, non piacciono i metodi di lotta troppo poco “occidentali”, passando sopra la vocazione sterminista della tecnologia bellica utilizzata dall’occupante, e si biasima la presunta mancanza di una progettualità politica. Si rimprovera, insomma, agli iracheni di non essere come i partigiani italiani, di non avere i loro CLN.

L’opposto, insomma, di quanto enunciato da Togliatti nel lontano 1935. Voler imporre un proprio modello di resistenza universalmente valido è un cedimento alla ideologia colonialista, a quella della pretesa superiorità occidentale. Significa, inoltre, non comprendere come una lotta di liberazione nazionale contro l’occupante possa bloccare un progetto di dominio mondiale come quello concepito e messo in pratica dall’amministrazione americana con i bombardamenti indiscriminati, i campi di concentramento e le torture. Le legittimità della lotta dei libici e degli etiopi è la stessa di quella degli iracheni o dei palestinesi. Per questo è necessario riconoscere il ritorno, in salsa contemporanea, delle forme neocoloniali, militari e ideologiche, di asservimento.

Un suggerimento bibliografico

Un viaggio nella tradizione colonialista e sterminatrice dell'Occidente.

Sterminate quelle bestie, Sven Lindqvist, TEA, 2003

mercoledì 10 marzo 2010

Fermare l’aggressione all’Iran: un nuovo appello!


Sin da quando G.W. Bush definì l’Iran uno “Stato canaglia” è in corso contro questo paese dalla storia plurimillenaria e il suo governo una brutale campagna di demonizzazione; una campagna fondata sulla menzogna che con tutta evidenza serve a spianare la strada all’aggressione militare.

Tutti ricordiamo come fu preparata la guerra all’Iraq. Mentre le sanzioni e l’embargo provocavano mezzo milione di morti (anzitutto bambini, a causa dell’assenza di medicinali, latte e beni di prima necessità), l’Iraq era accusato di accumulare “armi di distruzione di massa”. Come dimenticare la grande messa in scena con cui Colin Powell, per giustificare quella che sarà la più grande carneficina dopo il Vietnam, giunse a ingannare l’assemblea dell’ONU mostrando la famigerata “pistola fumante”?

Gli Stati Uniti, che difendono la loro supremazia mondiale con migliaia e migliaia di testate nucleari e la più imponente macchina bellica di tutti i tempi, giustificano le terribili sanzioni da imporre all’Iran e l’eventuale attacco militare con l’argomento secondo cui la Repubblica islamica cercherebbe di dotarsi della bomba atomica per poter attaccare Israele. L’accusa è sdegnosamente respinta da Tehran, e comunque ancora una volta la Casa Bianca usa due pesi e due misure. E’ infatti noto che Israele possiede centinaia di testate nucleari, buona parte delle quali puntate sull’Iran e ognuna delle quali potrebbe radere al suolo Tehran.

I nemici dichiarati dell’Iran (anzitutto Israele e Stati Uniti, a cui si accoda l’Unione Europea), nel tentativo di ingannare l’opinione pubblica e compattare il loro fronte interno, indossano la solita maschera, quella di paladini della libertà, della democrazia e della non-violenza. In particolare, essi contestano al governo di Tehran la dura repressione delle proteste. I sottoscritti non amano né le dittature, né la sospensione dei diritti di libertà, ovunque questo avvenga, ma prima di dare lezioni di democrazia i nemici dell’Iran dovrebbero porre fine allo Stato d’assedio e alla minaccia militare a cui sottopongono questo paese, visto che la guerra, come la storia insegna, è il più grave ostacolo alla libertà. In ogni caso, non possono ergersi a campioni dei diritti dell’uomo quegli stessi paesi, le cui truppe compiono massacri in Afghanistan o in Palestina, che sostengono colpi di stato per rovesciare governi ostili (Honduras), che non esitano a ricorrere agli attentati terroristici o all’«eliminazione mirata» di esponenti politici o scienziati considerati pericolosi.

Mentre si aggravano i pericoli di guerra esprimiamo il nostro sdegno per le affermazioni rilasciate da Berlusconi nel corso del suo viaggio in Israele. Non solo egli ha giustificato i massacri indiscriminati contro i palestinesi di Gaza, non solo ha difeso l’idea razzista e segregazionista di Israele quale stato puramente ebraico (con la sostanziale esclusione della popolazione araba dal godimento dei diritti politici). Calpestando i sentimenti di pace del popolo italiano e danneggiando gli stessi interessi nazionali, Berlusconi ha assicurato agli israeliani che l’Italia interromperà le relazioni economiche con l’Iran e sosterrà in ogni sede la richiesta di durissime sanzioni. In altre parole Berlusconi ha dato man forte ai falchi israeliani, i quali sono pronti, una volta ottenuto il semaforo verde da Obama, a rovesciare sull’Iran un devastante bombardamento, senza escludere il ricorso all’arma atomica.

Occorre fermare l’escalation anti-iraniana e smantellare l’arsenale atomico israeliano per denuclearizzare il Medio oriente. L’assedio israeliano di Gaza deve finire ed il popolo palestinese deve vedere finalmente riconosciuti i suoi diritti.

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lunedì 8 marzo 2010

La violenza è sempre degli altri ovvero i nuovi manchesteriani della Società della pace



La bolla nella quale viviamo è quella della retorica democratica. Una bolla gonfiata, peraltro, dall'ossessione securitaria. Ce lo dicono, ce lo ricordano e ce lo ripetono: noi viviamo in paesi civili con tanto di democrazia. Darsi dei dubbi, avanzare critiche è, puntualmente, un'operazione di qualche accademico stalinianamente frustrato – se va bene – oppure il canto del cigno di qualche impenitente – e minoritario – avanzo del socialismo reale sopravvissuto nonostante le soglie di sbarramento (queste arrivate senza decreti ma con gentile mercanteggiamento bipartisan). Io risulto, stancamente, tra quest'ultimi.

Come è ben raccontata questa democrazia, pure di sostanza (le forme posson saltare). Come si è poi creata, attraverso i suoi tromboni denunciatori delle grandi ideologie, la sua grande narrazione ideologica dell'esportazione di essa stessa ovunque! Ha certo elaborato una sua “neolingua” come denunciamo da anni: fa la guerra senza farla, bombarda senza ammazzare, invade con i fiori sui fucili e a sparare e ad ammazzare sono sempre gli altri. Israele rade al suolo Gaza, ma a far notizia sono i muri di qualche casa israeliana rovinati da quei razzetti Qassam, lanciati dai resistenti palestinesi, diventati subito “missili” così da giustificare via etere un massiccio bombardamento. Un israeliano morto fa più notizia di cento palestinesi inviati ad Allah.

Questo 1 a 100 rappresenta con tutta probabilità il valore che diamo alla vita altrui. Nazisti, verrebbe da dire. Ma no! Non facciamo altro che ripetere le vecchie logiche, coloniali e imperialiste, della guerra democratica e della disumanizzazione degli altri. Non siamo violenti, solo perché la violenza, quella che puzza di sterminio, l'abbiamo portata lontano dai nostri confini. Per questo mi viene voglia di citare il caro Marx che avrà sbagliato tanto e che bisognerà superare, ma che sul colonialismo e la sua violenza resta ancora, anche se non tutto è condivisibile, di una lacerante attualità:

La profonda ipocrisia, l'intrinseca barbarie della civiltà borghese ci stanno dinnanzi senza veli, non appena dalle grandi metropoli, dove essere prendono forme rispettabili, volgiamo gli occhi alle colonie, dove vanno in giro ignude”. (K. Marx, New York Daily Tribune, 8 agosto 1853)

E ancora:

Naturalmente, per la sensibilità europea le orribili mutilazioni inflitte dai sepoys [soldati indiani ribellatisi alla autorità britannica in India], il taglio dei nasi, seni ecc..., sono più rivoltanti che il lancio di palle infuocate sulle catapecchie di Canton ad opera di un segretario della manchesteriana Società della pace o il rogo di arabi stipati in caverne per ordine di un maresciallo francese, o il gatto a sette code che scortica vivi i soldati britannici per sentenza di corti marziali giudicanti per direttissima, o qualunque altro filantropico arnese usato nei penitenziari britannici”. (K. Marx, New York Daily Tribune, 16 settembre 1857)

Io leggo e mi vengono in mente le bombe a grappolo, l'uranio impoverito, il fosforo bianco e la mattanza di Genova. Noi siamo, da sempre, venuti in pace.