lunedì 18 gennaio 2010

thérèse raquin, prove di pellicola


Se mi servisse una storia per un nuovo film mi dedicherei alla trasposizione cinematografica di Thérèse Raquin, il romanzo di Emile Zola. La trama, le atmosfere e i colpi di scena destano infatti il desiderio di abbinarvi immagini, dare un volto ai soggetti, misurare le capacità espressive degli attori.
La Parigi ottocentesca, una merceria, due amanti, un omicidio malcelato, l’incubo dilaniante del rimorso. Destini e sortilegi: un po’ Raskolnikov di Delitto e Castigo e un po’ Dorian Gray, ma con una firma, quella di Zola, che non va dimenticata né sottovalutata.
Penserei ad un thriller, un noir e un horror al tempo stesso. Penserei a scene cariche di tensione e drammaticità, dove l’ambiguità covata dalla mente si scontra con le false speranze del cuore.
Zola è bravissimo a scandagliare l’animo dei suoi personaggi, rivelarne gli istinti ciechi e le dinamiche interiori, cariche di cinismo e spietatezza. Il linguaggio della scrittura in questo senso si dimostra senza dubbio meglio “attrezzato”. Le risorse delle parole, specie se sgorgano da una penna di prestigio, sono infatti infinitamente più numerose. Ma la forza di una scenografia, una scenografia targata 2010, quanto si insinuerebbe nell’immaginario di uno spettatore? La sfida è carica di fascino.
Leggendo il romanzo e imbattendosi nella critica (quella del tempo) ci si accorge anche di quante chiavi di lettura siano attribuibili ad un testo. Thérèse Raquin è stata addirittura etichettata come “letteratura putrida” in riferimento alle descrizioni particolareggiate dei cadaveri della Morgue o alla raggelante impassibilità dei protagonisti di fronte alla propria crudeltà. Zola ovviamente ha difeso la sua opera ma ne ha anche ascoltato e in parte accettato le critiche. Forse quando la comunicazione non viaggiava alla velocità della luce, si ragionava in maniera più costruttiva. Anche tra intellettuali.

s.